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di Cinzia Frassi

Se i consumatori sono felici di pagare per leggere i giornali di carta non vedo perché non debbano essere altrettanto felici per leggere le stesse notizie online". Ne è convinto Rupert Murdoch, che insiste e continua la sua battaglia contro l'informazione gratuita on line, lanciando l'ultima provocazione contro i motori di ricerca. In una recente intervista a Sky News Australia - parte del suo impero - Murdoch etichetta senza mezzi termini come "parassita e ladro di notizie"  l’aggregatore più importante, padrone in sostanza della rete  in fatto di indicizzazione di news: Google.

La provocazione di Murdoch sarebbe quella di rendere invisibili al grande occhio i siti web dei suoi giornali, come The Sun, The Times e il Wall Street Journal. Una tale manovra porterebbe in concreto ad una visibilità assai ridotta, limitando gli accessi ai siti targati News Corp alle visite dirette. Ma la navigazione on line, si sa, oggi non funziona così. Essa è fatta di ricerche, aggregatori, links, cioé di un grande passaparola dove i motori di ricerca sono gli strumenti principali degli internauti. Insomma, non è sufficiente mettere on line un sito, un contenuto, una notizia; quello che conta è che esso sia raggiungibile quindi visibile e per esserlo, se parliamo di notizie, Google News è indispensabile.

Il tycoon australiano tuttavia deve inventarsi qualcosa per salvare il salvabile in una fase davvero difficile sia per le testate in edicola che per alcuni investimenti poco azzeccati. Primo fra tutti il buco nell’acqua dei social network con MySpace, affondato dal fenomeno Facebook, che a fine 2008 vantava già 34 milioni di utenti e con un ritmo di crescita impressionante. Il problema principale che Murdoch intende affrontare è il calo delle vendite riscontrato nel settore della carta stampata e la conseguente perdita di raccolta pubblicitaria. A fronte di questa diminuzione di profitti, sul web si registrano invece sempre più visitatori che fruiscono d’informazione on line gratuita. Magari superficiale, generalista, ma liberamente fruibile e gratuita.

Fino ad ora. L'idea di Murdoch è quella di imboccare la strada delle news a pagamento e spostare sul web il guadagno pubblicitario. La provocazione però non è da prendere sul serio. Il fatto è che chiunque operi sul web e per il web sa bene quanto sia importante arrivare alla SERP di Google. Basti pensare agli strumenti - più o meno efficaci ci sarebbe da dire - che mirano a fare in modo che un sito, una pagina o una notizia arrivino proprio davanti agli occhi degli internauti per indurli al click tanto auspicato. Google è in grado di produrre centomila click e fare la differenza tra un sito morto e uno che sopravvive nella vastità della rete.

Per parte sua da Mountain View arriva una risposta facile-facile: “Sono sempre gli editori i proprietari dei contenuti e a loro spetta la gestione delle informazioni. Se un editore non vuole che i contenuti dei suoi siti d’informazione vengano indicizzati da Google News può farlo senza problemi” afferma Simona Panseri, responsabile della comunicazione per Google Italy. Non solo: precisa anche che “Google News è un importante gestore del traffico web che rimanda ai siti circa centomila click al giorno. Ogni click è un potenziale business che l’editore può decidere di utilizzare come crede: con gli abbonamenti, la pubblicità o i micropagamenti. Noi non facciamo altro che individuare contenuti per gli utenti e gestire traffico, nel rispetto delle leggi sul copyright”.

In realtà la trovata di Murdoch sembrerebbe forse puntare a portare il primo motore del mondo al tavolo della trattativa sulla base di una constatazione:  se l'aggregatore guadagna sulle notizie, che almeno chi offre la fonte sia ricompensato adeguatamente. Magari con una percentuale di guadagni provenienti dalla pubblicità, derivanti proprio dalla indicizzazione delle notizie stesse. Il magnate dell’editoria però sembra deciso a continuare la sua scommessa e a quanto dichiara, sui siti di proprietà della News Corp,  le notizie dalla prossima estate non saranno più free, bensì a pagamento. Il Wall Street Journal ha già saltato il fosso e il progetto è che anche The Australian, il New York Post e The Times lo seguano presto. Se da un lato Murdoch temporeggia dall’altro insiste sul costo che l’editore si assume per fare informazione: “A noi costa molto fare dei buoni giornali e avere dei buoni contenuti”.

Rendersi invisibili agli spider di Google appare un'iniziativa assurda, un salto bel buio, una follia, ma il progetto del tycoon dell'editoria ha in serbo probabilmente altri colpi di scena. Intanto è sicuramente una mossa da leggere come un escamotage per prendere tempo rispetto alla data fatidica del giugno 2010, per la quale sembra non essere pronto. Altri, infatti, hanno già fatto il salto passando al pay per read  e altri dichiarano che presto saranno pronti per farlo. E’ il caso di Bloomberg, oggi gratuito ma che dovrebbe costare 600 dollari l’anno per andare oltre la home page. Tra gli europei, ad erigere il pay wall ci sono l’editore della Bild Zeitung, Springer, e il Süddeutsche Zeitung. Un altro elemento da considerare è che tendenzialmente risulta meno rischioso passare dal free al pay per read per quelle testate specializzate che si rivolgono ad un pubblico fatto di manager, professionisti, tecnici.

Il settore dell’informazione, sia su carta che on line, è di fatto nel bel mezzo di una fase di grande trasformazione, anche senza arrivare a posizioni estreme come quella di Murdoch o quelle di chi, al contrario, sostiene che non ci sia futuro se non per un’informazione gratuita. Va da se che questa trasformazione interesserà anche il mondo del giornalismo, sia in termini di qualità che di occupazione. Per quello che si vede ora sembra esserci una grande massa di utenti generalisti, strafatti di social network, che tra blog, Facebook, Twitter e quant’altro, non disdegnano di dare un’occhiata ad una home page di informazioni multimediali gratuite. A fronte c’è una forte domanda d’informazione di settore, l’approfondimento, l’analisi specializzata che deve saper sfruttare gli strumenti di comunicazione più innovativi.

Nella lettera agli azionisti pubblicata nei giorni scorsi, Murdoch ribadiva che "il giornalismo di qualità non è economico" e che "la pubblicità non riuscirà più da sola a pagare i conti dei giornali". Grandi verità da tenere ben presenti, perché l'informazione e la libertà della stessa, sia attiva che passiva, sono elementi fondamentali per una società senza padroni. Grandi verità che tuttavia vengono dalla voce di uno dei grandi monopolisti che divorano tv e informazione a tutto tondo.